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«Figlia mia, la tua malattia non ti ha fermato»

Inviato da admin il 8 March 2017

[Fonte: www.vanityfair.it​]
Eleonora ha 11 anni e vive a Roma. Per la prima volta, lo scorso Natale ha chiesto il regalo che desiderava: un pupazzetto a forma di delfino. Lo porta con sé, lo tiene accanto quando va a dormire. Per la sua mamma, Giulia, anche questo è un traguardo. «Adesso anche lei ha il suo oggetto transizionale. In genere i bambini ne scelgono uno quando hanno tre o quattro anni, lei l’ha fatto dopo, ma è comunque un progresso». Eleonora è nata con la sindrome di Williams, conosciuta anche come «sindrome dei bambini con gli occhi a stella».
È una malattia genetica rara, che colpisce circa un bambino su 10 mila, e non è degenerativa. Consiste in un disordine neurocomportamentale congenito, dovuto alla delezione del cromosoma 7, e non è ereditaria. Interessa diverse aree dello sviluppo, tra cui quella cognitiva, quella del linguaggio e quella psicomotoria. Alle volte, alla nascita, comporta problemi cardiaci.
«Nel nostro caso, la diagnosi è stata precocissima – spiega la mamma -: i medici hanno individuato qualcosa che non andava al cuoricino, al mio settimo mese di gravidanza. Temevano un problema genetico. E all’ospedale Bambin Gesù, un centro di riferimento di eccellenza, mi è stata subito confermata la diagnosi. È molto importante che sia tempestiva, perché intervenire subito può fare la differenza per molte di queste patologie. E serve anche ad evitare interventi inutili».
Ma, da quel momento, la vita di Giulia e di suo marito Maurizio è cambiata. «Una notizia simile ti stravolge la vita: la diagnosi è solo un punto di inizio, e ci sono genitori che poi continuano a brancolare nel buio. Cambia tutto il progetto di vita, e bisogna lavorare sull’accettazione del fatto di non avere avuto il figlio che si aspettava».
È importante anche il modo in cui viene comunicata la diagnosi: «Nessuno dà speranze o aspettative, perché le condizioni dei bambini sono sempre soggettive. Ma è l’ambiente a fare sì che le cose vadano progressivamente meglio».
Eleonora, in particolare, ha uno sviluppo psicomotorio ritardato, una diagnosi di ritardo mentale medio e un disturbo dell’attenzione. «Eppure è una bambina serena, gioca, salta, impara ogni giorno qualcosa. È integrata, anche grazie ai genitori dei compagni, che hanno spiegato molto bene ai figli come rapportarsi con lei».
All’inizio Giulia continuava «a concentrarsi sulla malattia, più che sul bambino. Cambiare punto di vista, all’inizio, è davvero difficile. All’inizio non si sa bene che cosa si sta per affrontare. Io ho avuto la fortuna di una seconda figlia, pochi mesi dopo, che mi ha restituito tanti aspetti della genitorialità. È anche grazie a lei che ho imparato a capire che nonostante sia atipico, lo sviluppo c’è, e bisogna credere nei propri figli».
È stato importante anche il lavoro, perché aiuta a «staccare», a guardare la situazione dell’esterno, anche se «la carriera diventa sempre più difficile, perché non si riesce a dare il cento per cento. E l’assistenza: un genitore che non possa fare riferimento a un centro che propone progetti mirati si sente perso. Da soli non si va da nessuna parte: è importante che le famiglie si uniscano. Per me è stato fondamentale il ruolo dell’Anffas, che ci ha presi in carico e continua ad aiutarci a progredire».
Pian piano, Eleonora impara a diventare sempre più autonoma. Con l’assistenza dei genitori, dell’Anffas e della sorella Ludovica, che sa tutto di lei e ne parla con un affetto smisurato. «Il mattino ci alziamo molto presto – spiega la mamma -. La seguo e non intervengo: le sto vicino mentre si spoglia e si lava, in modo che si impegni, senza sentirsi frustrata. Bisogna farlo con costanza. Avere poche regole, ma rispettarle, e solo quando si acquisisce una abilità, passare alla tappa successiva».
Giorno dopo giorno, Giulia ha ripreso in mano la propria vita, e Eleonora ha cominciato i suoi piccoli, lenti ma incessanti progressi. «Ha iniziato a camminare tardi, a 34 mesi. Non diceva nessuna parola, non guardava mai negli occhi, si picchiava, si faceva male. Adesso la sua vita è ricca: nuota come un pesce, nello stile che ha inventato lei, sta in apnea sotto l’acqua, parla e comunque fa capire quello che le interessa». Ad esempio, gli spaghetti con le vongole, il suo piatto preferito. Quando ne ha voglia, chiede alla mamma di preparaglielo.
Come molti ragazzi con la sindrome di Williams, è estremamente sensibile ai suoni ed è molto intonata. Se qualcuno le chiede come sta, ancora non risponde. Se le si domanda come si chiama, non dice il suo nome. Però da un po’ si interessa alle storie, ha iniziato a disegnare e a riconoscere le lettere e scrive le parole brevi. Come «api», forse anche perché sono gli animali che le piacciono di più.